Da ormai quasi due anni a questa parte, la pandemia sta mettendo alla prova molti capisaldi dello Stato costituzionale di diritto, dati un tempo per acquisiti e risolti nei loro termini generali: la limitazione delle libertà ed il suo quantum, le autorità deputate a questa limitazione e le forme da rispettare, la gerarchia delle fonti del diritto, il funzionamento delle ordinarie garanzie costituzionali anche in tempi d’eccezione. Data la situazione pandemica che, per definizione, coinvolge l’intera umanità, difficilmente si sarebbe potuto immaginare che saremmo arrivati ad interrogarci sulla tutela di “minoranze ideologiche”, restie ad accettare i dati scientifici e le conseguenti politiche di tutela della salute intraprese. Senza domandarsi tanto se esista un qualche diritto di cittadinanza nel dibattito pubblico per le ragioni dei no-vaxno-mask, no-pass ecc., l’interrogativo che si sta ponendo in vari ordinamenti è se le regole adottate in via generale debbano trasporsi anche ai Parlamenti, obbligando così anche quei singoli parlamentari che sposassero le visioni ideologiche di cui sopra, rivelatesi – alla prova dei dati vaccinali – ultraminoritarie.
Come si sarà compreso, il tema è l’applicazione del “certificato verde” (il c.d. green pass) alle aule parlamentari: il sacrosanto obiettivo della tutela salute di tutti (compresi i membri del Parlamento ed i dipendenti dell’istituzione) si trova ad incrociare un altro sempreverde principio cardine della democrazia rappresentativa, costituito dalla libertà del mandato di ciascun parlamentare (art. 67 della nostra Costituzione). I rappresentanti della Nazione devono poter esercitare le loro funzioni liberi da vincoli. È un principio che porta naturalmente con sé deroghe al principio di uguaglianza, deroghe talvolta definite prerogative (ma che gli inglesi racchiudono, forse con più onestà intellettuale, nell’espressione parliamentary privilege).
Ecco dunque lo scomodo interrogativo: può il green pass costituire un “vincolo sanitario” al mandato parlamentare, intaccandone la libertà? E se un eletto o una minoranza contesta tale scelta politica di fondo e sceglie – in coscienza, contro la scienza – di non aderirvi, è giusto impedirgli la partecipazione ai lavori parlamentari?
Sono quesiti che toccano il senso profondo della democrazia (volere di maggioranza o protezione delle minoranze?) in una complicata geometria di equilibri, che interrogano sul trattamento da riservare alla “insanior pars” (“sanior pars” era, nell’ordinamento canonico, un’espressione con cui si designava la maior pars, ovvero la maggioranza, come spiega Edoardo Ruffini nel suo “Il principio maggioritario”).
Questa complessità è dimostrata dalle variegate azioni dei Parlamenti europei, che non sono state affatto univoche.
In Francia, l’Assemblea Nazionale ha respinto un emendamento (presentato da deputati di maggioranza) che mirava ad estendere il pass sanitaire al Palais Bourbon: il Presidente dell’Assemblea ha spiegato in un comunicato che il pass si sarebbe applicato per i locali del Palazzo, ma non per l’emiciclo e per i deputati, a tutela del “libero esercizio del mandato parlamentare”, consacrato nella giurisprudenza costituzionale d’Oltralpe.
In Spagna, il Congreso de los diputados ha rifiutato di estendere il controllo del pass agli eletti.Anche in Germania il certificato non è richiesto per partecipare alle attività del Bundestag, tant’è che a Berlino si è registrata una singolare azione di alcuni deputati no-vax del partito Alternative für Deutschland (AfD) che hanno chiesto, senza successo, al Tribunale di Karlsruhe di sospendere nei loro confronti una legge del Land berlinese che impone il green pass (in quanto vaccinati o guariti dalla malattia) per l’accesso agli hotel: a loro dire, tale legge avrebbe impedito ai ricorrenti di soggiornare nella capitale e partecipare effettivamente alla seduta di investitura del nuovo Cancelliere Olaf Scholz l’8 dicembre scorso. Il Bundesverfassungsgericht, ribadendo la sua costante giurisprudenza sulla protezione del mandato parlamentare e sul diritto all’eguale partecipazione dei deputati, conclude che i ricorrenti non hanno indicato (se non in termini generali) quale sarebbe stata la concreta lesione della loro dote costituzionale, dato che la legge berlinese aveva tutt’altri scopi dall’incidere sul potere rappresentativo dei membri del Bundestag.
In Italia, invece, la Camera dei Deputati ed il Senato (l’una con delibera dell’Ufficio di presidenza, l’altro con decisione del Consiglio di Presidenza, di cui si trova conferma nellecomunicazioni di inizio seduta del 19 ottobre 2021, con l’annuncio della sanzione alla senatrice Laura Granato) hanno scelto secondo il loro potere di autocrinia di estendere le previsioni del d.l. 21 settembre 2021 n. 127, convertito dalla legge n. 156/2021 (art. 1, comma 12) alle loro sedi.
Di conseguenza, per gli eletti contrari alla vaccinazione e non provvisti di apposito tampone scatta il divieto di accesso agli emicicli ed agli spazi adiacenti, divieto corredato da apposite sanzioni. Adita come giudice dei conflitti fra poteri dello Stato, la Corte costituzionale il 15 dicembre ha comunicato la delibazione di inammissibilità dell’azione mossa da alcuni parlamentari contro tali decisioni, poiché i ricorrenti non hanno dimostrato l’esistenza di una lesione manifesta delle loro attribuzioni, la sola a giustificare l’intervento della Corte (a partire dall’ordinanza n. 17/2019). A seguito di questo comunicato, il Collegio d’appello interno alla Camera dei Deputati ha respinto in via cautelare il ricorso individuale di una deputata che chiedeva la sospensione delle regole sul green pass in Parlamento.
Ma la schermaglia nostrana non rappresenta un caso isolato: il 27 ottobre l’Ufficio di presidenza del Parlamento europeo ha egualmente esteso la disciplina del Regolamento (UE) 2021/953 sul certificato verde ai suoi spazi. Contro tale decisione, alcuni eurodeputati, assistenti e lavoratori dell’istituzione hanno formato un ricorso davanti al Tribunale dell’UE che, in sede cautelare, ne ha rigettato le domande.
In particolare, il Tribunale di Lussemburgo esclude che sussistano tanto l’urgenza del ricorso, quanto il rischio di un pregiudizio grave e irreparabile per i ricorrenti e fonda la sua decisione su vari punti.
In particolare, esclude che si sia verificata una lesione del potere rappresentativo degli eurodeputati, giacché questi – come il personale parlamentare – hanno il tempo necessario per mettersi in regola con il nuovo quadro normativo (par. 26). Ancora, è scartato il motivo con cui si denuncia la violazione del diritto alla vita personale e alla protezione dei dati personali: non solo la raccolta dei dati è assai limitata (il solo dato a cui hanno accesso gli agenti di controllo è la durata del certificato: par. 30), ma il suo trattamento è strettamente determinato nel fine e giustificato. Inoltre, il personale addetto ai controlli è tenuto al segreto professionale (par. 31).
Non pago, il Tribunale ricorda inoltre le differenti possibilità di test a cui può sottoporsi la persona non vaccinata o guarita (par. 39), test validi per 48 ore, i cui costi sono sostenuti direttamente dal Parlamento europeo (par. 40). Da ultimo, la decisione del Parlamento ammette in casi eccezionali e debitamente documentati la possibilità che il segretario generale conceda una deroga all’esecuzione dei test nasofaringei (par. 42).
Si tratta di condizioni che il Tribunale dell’UE sembra sottolineare al fine di fugare anche dubbi circa l’esistenza di una reale coercizione maggioritaria sulle minoranze (assai significativa la circostanza che i costi dei tamponi siano presi in carico dalla stessa istituzione). Insomma, il Parlamento europeo ha cercato di minimizzare gli effetti sui dissenzienti che la decisione maggioritaria avrebbe prodotto, pur non escludendoli dall’applicazione della regola generale.
Nel nostro paese, il certo lodevole zelo del Parlamento nell’applicare le norme sul green pass – zelo che sarebbe auspicabile pure in altre situazioni in cui emerge la necessità di rispettare le regole che le stesse Camere si sono date o hanno dato al Paese – si spiega probabilmente tanto con la ferita profonda che il nostro Paese ha subito a causa della pandemia, quanto con l’attuale situazione politica di larghissima coalizione. Resta però il dubbio sulla praticabilità di bilanciamenti diversi, in grado di conciliare, nel modo più opportuno possibile, la protezione della salute con il rispetto delle minoranze nel Parlamento italiano (a partire dalle “più piccole minoranze”, cioè i singoli), anche di quelle di cui si fatica – o proprio non si riesce – a comprendere le ragioni