Con la trasmissione di una stringatissima lettera, datata 18 marzo 2021, il partito ungherese Fidesz guidato da Orban ha ufficializzato al segretario generale del PPE, Antonio López-Istúriz, l’intenzione di non mantenere l’appartenenza al Gruppo dei Popolari e di uscirne, a norma dell’art. 9 dello Statuto.
La decisione era nota già da qualche giorno e giunge al termine di tensioni evidenti da almeno 3 anni. L’evento scatenante è stato l’approvazione da parte del gruppo parlamentare di modifiche al regolamento interno (in vigore dall’ottobre 2013) volte ad introdurre nuove condizioni in base alle quali il gruppo può addivenire alla sospensione e alla esclusione non più solo di singoli membri, ma altresì di un’intera delegazione nazionale. Il nuovo regolamento è stato votato a larghissima maggioranza (con l’84,1% dei voti, pari a 148 voti favorevoli, 28 contrari e 4 astenuti) e immediatamente dopo la votazione il partito ungherese ha fatto sapere che si sarebbe ritirato, ritenendo la decisione “democraticamente indegna” e “chiaramente ostile nei confronti degli elettori ungheresi”. 
La vicenda rileva sotto tre profili che impattano sul ruolo e sul funzionamento di una delle principali istituzioni europee: in primo luogo, si definisce meglio il rapporto tra il Partito popolare europeo e il corrispondente gruppo in seno al Parlamento; in secondo luogo, il collocamento dei deputati di Fidezs in altri gruppi (già costituiti o da costituire ex novo) potrebbe contribuire a modificare gli equilibri all’interno del PE; da ultimo, ma non per ultimo, la vicenda si riverbera sul tema complessivo della necessaria affinità politica e dunque dell’offerta politica presente nell’Unione.

I gruppi politici al PE non corrispondono ai partiti politici europei. La ragione si rinviene nella diversa disciplina dei due soggetti. A norma dell’art. 32 del Regolamento parlamentare, “i deputati possono organizzarsi in gruppi secondo le affinità politiche” ma possono anche decidere di non iscriversi ad alcun gruppo. Gli europarlamentari possono aderire a un gruppo politico al Parlamento anche se non appartengono a un partito nazionale che è membro del partito politico europeo correlato, alle condizioni stabilite dal regolamento del gruppo in questione.
Il ruolo dei partiti politici a livello dell’UE è stabilito, invece, dall’art. 10, par. 4, del TUE e dall’art. 12, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, secondo cui “i partiti politici a livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell’Unione”. Tale fondamentale ruolo di creazione di un luogo di dibattito pubblico europeo è assegnato a soggetti che sono, dunque, (con)federazioni di partiti politici nazionali con una stessa affiliazione politica.
La distinzione era diventata clamorosa nel caso del Partito Popolare europeo, che nel marzo del 2019 aveva votato la sospensione di Fidesz: a fronte della richiesta di espulsione degli ungheresi dal Partito, era stata raggiunta una mediazione che ne aveva decretato la sospensione (ossia l’impossibilità di partecipare alle riunioni) nonché la perdita del diritto di voto e di proporre candidati. Nulla era mutato, invece, a livello di gruppo parlamentare: i 12 deputati di Fidesz avevano continuato a partecipare ai lavori del gruppo e a godere dei vantaggi derivanti dall’appartenenza allo stesso.
L’evidente dissonanza fra la sospensione in seno al partito e la perdurante partecipazione alle attività del gruppo parlamentare viene superata dalla decisione degli europarlamentari di Fidesz, così usciti definitivamente dall’ambiguità che per quasi tre anni era stata tollerata dal partito egemone del PPE, la CDU, forse nella speranza di trattenere il partito di Orban nell’alveo delle forze europeiste.    

La decisione sulla collocazione dei 12 deputati di Fidezs non più appartenenti al gruppo del PPE è ora particolarmente significativa: i Popolari restano il gruppo più consistente ma scendono a 175 seggi; i Socialisti sono a quota 145 e con qualche ingresso (come, ad esempio, alcuni deputati M5s) potrebbero avvicinarsi molto; c’è poi il rischio che altri deputati (come gli sloveni del premier Janez Jansa) possano lasciare il gruppo proprio per seguire Fidesz; la componente ungherese potrebbe utilmente essere arruolata per ingrossare le fila dei gruppi già esistenti, più marcatamente spostati a destra (ad esempio, con l’arrivo di Fidesz i Conservatori raggiungerebbero quota 75 deputati, superando i Verdi). 
Seppur non obbligatoria, l’appartenenza a un gruppo politico è rilevante per l'assegnazione dei posti chiave nelle strutture politiche e organizzative del Parlamento: al di là delle nomine di vertice (Presidente, vicepresidenti o questori), che possono essere effettuate solo da un gruppo, è assai improbabile che un deputato non iscritto possa essere presidente di una commissione o nominato relatore di un dossier di rilievo. A norma dell’art. 196 del Regolamento del
PE, nel prossimo autunno si dovrà procedere al rinnovo della composizione delle commissioni e alle nuove presidenze, ragione per cui il posizionamento dei 12 deputati di Fidesz ha una ricaduta non da poco.
Si colgono facilmente le ragioni per cui, all’indomani della decisione, il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei (gruppo ECR), oggi presieduto da Giorgia Meloni, ha espresso solidarietà agli eurodeputati del partito ungherese; così come rilevanti sono i contatti avviati con il gruppo Identità e democrazia (Id), al quale appartiene la Lega di Matteo Salvini.
Significativamente, ai primi di aprile 2021 si è tenuto un incontro a Budapest tra i leader dei tre partiti sovranisti di Italia (Lega), Ungheria (Fidesz) e Polonia (PiS), dal quale è emersa una spiccata convergenza politica in chiave anti-Popolari, che per il momento non si tradurrà né in una confederazione di partiti né nella costituzione di un gruppo.  

Quel che è certo è che, in previsione della prossima tornata elettorale, è presumibile, ed anche auspicabile, che la divisione tra europeisti e sovranisti divenga netta ed evidente e che le ambiguità vengano sciolte: a partire, ad esempio, dalla Lega di Matteo Salvini, che all’interno dei confini nazionali sostiene il governo fortemente europeista di Mario Draghi. 
Si tratta di dare peso alla necessaria affinità politica tra i deputati che compongono un gruppo al Parlamento europeo, come fissato all’art. 33 del Regolamento. Tale affinità politica è data per scontata e il Parlamento non procede ad alcuna “verifica”. Tuttavia, una recente modifica al Regolamento ha imposto a tutti i membri di un nuovo gruppo di dichiarare per iscritto “di condividere la stessa affinità politica” (art. 33, par. 5). Circa tale obbligo, nell’aprile del 2019 il Parlamento ha stabilito che “la dichiarazione politica di un gruppo individua i valori che il gruppo sostiene e i principali obiettivi politici che i suoi membri intendono perseguire insieme nell’ambito dell’esercizio del loro mandato. La dichiarazione descrive l’orientamento politico comune del gruppo in modo sostanziale, distintivo e veritiero”.
La discussa questione della definizione di “affinità politica” è da diversi anni oggetto di attenzione e su di essa ha avuto modo di pronunciarsi il Tribunale di primo grado nel 2001, in occasione di un ricorso presentato avverso la decisione del Parlamento di negare la creazione del gruppo tecnico dei deputati indipendenti (TDI). Della pronuncia, nella quale il Tribunale rigettava il ricorso, merita di essere ricordato questo passaggio: “la duplice esigenza di affinità politiche e di appartenenza a più di uno Stato membro, sulla quale poggia l’organizzazione dei deputati in gruppi politici, permette di trascendere i particolarismi politici locali e di promuovere l’integrazione europea cui mira il Trattato. I gruppi politici concorrono così alla realizzazione dell'obiettivo perseguito dall'art. 191 CE, vale a dire la creazione di partiti politici a livello europeo come fattori di integrazione in seno all'Unione, di formazione di una coscienza europea e di espressione della volontà politica dei cittadini dell'Unione” (corsivo nostro).
Proprio con riferimento a tale obiettivo, l’uscita dei deputati di Fidesz dal gruppo dei Popolari concorre a individuare in modo più netto le parti in gioco. Nelle ultime due tornate elettorali europee è stato abbastanza chiaro come il cleavage si sia collocato sul piano europeisti/sovranisti: se la vicenda della modifica del regolamento interno del gruppo del PPE, con la conseguente uscita dei deputati ungheresi, contribuirà a chiarire ulteriormente le posizioni e se si giungerà – magari nelle elezioni del 2024 – a schieramenti non più ambigui, questa non può che essere una notizia da accogliere con favore.