Molti commenti sono già stati proposti al discorso di Mario Draghi a Strasburgo. Per questo non ripropongo i dati già acquisiti. Mi limito a qualche considerazione ulteriore.

La prima è che l’intervento di Draghi va logicamente letto in combinato disposto con l’imminente visita negli Stati Uniti d’America e si potrà quindi comprendere per intero dopo quel passaggio. Però, la stretta vicinanza tra i due eventi già dice qualcosa. “Degasperianamente” il rafforzamento dell’Unione europea e dell’alleanza occidentale sono un tutt’uno coerente dentro una visione di multilateralismo democratico. È una prospettiva distinta e distante dalle ricorrenti posizioni neutraliste e terzaforziste di multipolarismo, in cui l’Europa dovrebbe costituire un polo a sé rispetto agli Usa.
Per questo, la parte iniziale del discorso ribadisce l’importanza del contributo comune alla difesa dell’Ucraina. Peraltro, l’intervento è stato contemporaneo all’importante intervista del papa al Corsera, rispetto alla quale la negativa reazione russa (che viene a confermare, come si capisce dalle parole del Papa, l’analoga chiusura delle settimane precedenti) è stata la prova provata che non esiste nella realtà, allo stato, nessuna prospettiva alternativa a quella scelta dai Paesi dell’Occidente.
La “soluzione diplomatica” che Draghi ripropone non è affatto in contraddizione con l’aiuto all’Ucraina perché gli equilibri diplomatici, per fondarsi sulla giustizia, richiedono che l’aggredito sia in posizione negoziale non squilibrata.

La seconda è che la difesa europea, in coerenza con il Trattato Ced voluto da De Gasperi e Spinelli nel 1952-1954, siglato esattamente 70 anni fa, il 27 maggio 1952, e poi purtroppo caduto all’Assemblea nazionale francese per la concomitanza con la crisi indocinese, è vista come il secondo pilastro della Nato e non fuori di essa. Dice Draghi: “Gli investimenti nella difesa devono essere fatti nell’ottica di un miglioramento delle nostre capacità collettive – come Unione Europea e come Nato.”

La terza è che per Draghi, analogamente a quanto voluto, allora, sempre da De Gasperi e Spinelli che fecero inserire un articolo dedicato (il n. 38 del Trattato), la prospettiva della difesa comune va inserita in nuove istituzioni che comportino una maggiore unità politica e maggiori disponibilità di bilancio, giacché la nazionalizzazione di molte politiche produce inefficienze e ignora gli effetti asimmetrici delle crisi sui vari ambiti decisionali.

Mi si consenta, quindi, una nota finale sugli anniversari. Draghi parla del 9 maggio, festa dell’Europa, in cui concluderà la Conferenza sul futuro dell’Europa che ha formulato varie proposte innovative. Essa coinciderà quest’anno con la particolare curvatura nazionalistica e aggressiva che la Russia putiniana darà alla celebrazione della fine della Seconda Guerra mondiale. Sarà quindi netta l’alternativa tra multilateralismo e nazionalismo.
Il 9 maggio ci ricorda anche l’anniversario dell’omicidio di Aldo Moro che nel suo ultimo discorso alla Camera, il 15 febbraio 1977, intervenne proprio su uno dei passaggi fondamentali dell’integrazione, il passaggio all’elezione diretta del Parlamento europeo.  In quello che possiamo vedere forse come passaggio chiave, Moro dice: “Vi è una vocazione europea connaturale al popolo italiano. Credo si debba sottolineare (non so in quale misura, ma certamente in larga misura) che nelle aspirazioni italiane sull’Europa vi è una autentica vocazione federalista.”
Gli eventi di questi ultimi anni ci hanno purtroppo rivelato che il consenso interno è diventato più fragile di quello registrato allora da Moro, tuttavia, col Governo Draghi e con questo discorso, l’Italia sembra in grado di riprendere quel suo tradizionale ruolo di consapevolezza e di traino. 

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